Sta finendo un epoca: quella dell’autodeterminazione delle nazioni e dei popoli, una lunga epoca che ho visto l’emanciparsi e il liberarsi progressivo di tante parti della terra, di quella terra colonizzata ed imperializzata che era stata terra di conquista della civilissima Europa prima e degli Stati Uniti successivamente e che finendo ci consegnerà definitivamente alla globalizzazione, cioè ad una forma nuova di integralismo, non solo economico, ma anche culturale, che sta mutando complessivamente le regole del gioco e ridefinendo gli assetti economico culturali del mondo e che non necessariamente avranno un impronta europea o nord americana.
Dentro queste parentesi economico/sociali si sta rimodellando un globo più complesso ove le polarità e le centralità del potere sfuggono ad una concretezza spaziale percepibile a confini geografici certi, a politiche di dazio possibili, dove l’autarchia releghi nella povertà chi la caldeggia.
La finanza ne è infatti la leva motrice e come si potrebbe dire “un battito d’ali in Cina potrà produrre e forse già produce un terremoto in Sudamerica”, cosi come la crescita o caduta di una azienda o di un paese può essere deciso in luoghi molto lontani ed in forme sempre meno concrete e sempre più virtuali, perfino lontane dal quel capitalismo materialistico che gli ultimi due secoli ci avevano proposto ed oggi la tempistica che i nuovi strumenti di comunicazione consentono rende il tutto possibile in tempo reale, quindi anche con esigenze di decisioni rapide per non dire istantanee.
Negli ultimi 100 anni alla ricchezza come materialità delle cose e del possesso si è andata sostituendo una ricchezza virtuale basata su azioni, obbligazioni, BOT e CCT, valori cartacei che hanno ridisegnato sia la nostra ricchezza che i nostri patrimoni: l’uso del credito (e quindi del debito) si è sostituito progressivamente alla scambio monetario diretto come lo stesso si era sostituito in forma vicariante, ma materiale, al baratto.
Mutata la forma dello scambio, ma non quella dell’uso, è venuto meno sempre più il valore reale di una merce che tale era, fin che ha mantenuto inalterata la forma dello scambio e nella logica del credito (e quindi del debito); si sono quindi artificialmente gonfiate ricchezze e disponibilità in un mondo sempre più cartaceo ed effimero, ponendo le basi forse per una prossima scomparsa del denaro come lo abbiamo conosciuto che andrà sempre più sostituito dal “credito” come acquisizione di un “debito”.
Possiamo star qui a discutere per ore come uscire dalla crisi, ma se non razionalizziamo la sua forma virtuale, cioè lo scambio “materia contro credito” (si potrebbe dire “realtà con finzione”) difficilmente riusciremo a superarla, finendo con l’avvitarci in una spirale per nulla virtuosa e per altro già sperimentata alla fine del decennio scorso negli Stati Uniti con un crescendo di credito/debito per compensare un futuro di acquisti e/o promesse di pagamento. Se volessimo astrarre ancora di più, quello che stiamo sperimentando è la vendita del presente in cambio di un futuro del tutto ipotetico o se preferite l’acquisto del futuro in cambio di un presente inesistente ed è qui che infatti sta l’inganno della virtualità.
Ciò di cui abbiamo bisogno è di disfarci di un sogno, superare l’ effimera essenza dell’immateriale scambio e ridefinire regole che accertino e sanciscano la concretezza delle cose come unico possibile reale elemento di scambio, ma per far questo ci vuole il coraggio di porre limiti alla finanza ed alla simbologia artificiale del suo potere, si dovrebbe avere il coraggio di imbrigliare le borse come mercato dello scambio e della ricchezza, si dovrebbero imporre pesanti limiti alla liberalità delle società di rating ed alle loro sentenze, soprattutto stante gli interessi privati, questi si materiali e materializzabili, che le stesse hanno.
La nostra “decrescita felice” dovrà essere un ridimensionamento del nostro futuro, una rimaterializzazione delle nostre possibilità e non alludo solo alle grandi questioni, ma anche alle nostre piccole modeste prospettive d’ipotetica ricchezza che abbiamo coltivato; dobbiamo cioè scambiare una parte del nostro futuro delle nostre aspettative dei nostri sogni con una maggiore concretezza del nostro presente privandoci delle illusioni che “il futuro sia nostro e a portata di tutti” e che sia un sogno comunque realizzabile. Non è più tempo di “ sogni americani” o sogni globali, questa crisi ci riconduce ad una visibilità del presente che deve appartenerci come prospettiva ottimistica, come sogno da realizzare “oggi” e non domani.
Nulla di tutto ciò deve riecheggiare modelli di ecologismo conservativo, di un ritorno alla felicità di una natura incontaminata dei secoli scorsi, ne all’utopia della semplicità, ma solo ad un drastico ripensamento delle nostre prospettive di crescita ed alla ridefinizione di uno sviluppo che non sia sempre e solo crescente, ma che possa subire interruzioni e salti non lineari e non necessariamente in avanti, ma che sia invece di stimolo a ripensamenti complessivi che rimescolino le carte sempre più globalizzate e sempre più bisognose di gestori universali, meno nazionali o parziali.
Stupisce infatti come nel dibattito italiano sulla crisi ciò che emerge siano riflessioni autoreferenziali dove ognuno si muove da ciò che è, o meglio forse da ciò che è stato, senza la consapevolezza che “un mondo con i suoi paradigmi” è finito; che senso ha parlare di “noi metalmeccanici”, “noi pensionati”, “ noi Italia” (e lascio stare le singole corporazioni di professioni) di fronte alla globalizzazione dei problemi ? Quasi che la difesa di singoli e corporativi interessi sia la soluzione di un problema più generale; mi pare che un atteggiamento di questo tipo altro non rappresenti che il conservatorismo ormai anche di molti che si dichiarano di “sinistra” e che negano quindi che essere tali sia “essere nelle dinamiche delle cose” come avrebbe detto chi proclamò che “marxista non lo è mai stato”, cioè un certo Carlo Marx.
Vale forse la pena di ripensare ad un terreno di confronto che sia in grado di misurare il nostro stato di salute “interpretativa” e che si possa muovere da parole d’ordine che ripropongano un senso di realtà e di misurazione delle cose: ne propongo per iniziare due: eguaglianza e dignità.
Eguaglianza come termine di paragone delle diversità e come terreno delle opportunità per tutti, che sappia ridisegnare gli spazi essenziali di una comunità sempre più globalizzata e sempre più complessa, ma che colga e proponga le basi di un vivere comune in un concetto di “eguaglianza nel” e di “eguaglianza con”.
Dignità intesa non solo come una qualità della persona, ma come livello di difesa e di messa a difesa delle persona stessa nella sua materialità e quindi come difesa “dal potere”, protezione del corpo e ridefinizione di una bio-politica (Foucault) alla luce di una nuova etica laica e a partire dall’art. 32 della nostra costituzione integrandone senso e funzione proprio con i concetti di eguaglianza e di “libertà da …” e “libertà di …”
Certo questo implica conversioni a “U”, ripensamenti sulle reali prospettive di sviluppo sulla sua materialità, sulla esistenza delle forze produttive sul gigantesco lavoro di riconversione che dovrebbe servire (penso solo al settore automobilistico e alle sue prospettive di crescita e mercato nel mondo occidentale nonché alla concorrenza legittima di marche e modelli asiatici).
E poi come riconvertire posti di lavoro ? come e con chi riempirli a fronte di uno sviluppo quantitativamente inferiore e con uno sviluppo tecnologico che semplifica ed accelera i tempi di produzione ? certo non sarà ne facile ne breve questo periodo, ma quello che dovremmo comprendere e che si esce dalla crisi con uno sforzo comune abbandonando la logica “dell’ IO” come presupposto da cui partire e nella consapevolezza di un “NOI” di ampio respiro, perché alla fine dentro ognuno di noi esiste un insieme che è la somma di un produttore/pensionato, di un uomo che vive un presente e vuole un futuro e noi stessi siamo nel tempo parti di un insieme cadenzato e se oggi parliamo di “patto tre le generazioni” a maggior ragione guardando al futuro dovremmo vederci come un “soggetto nella dinamica delle cose ed degli eventi temporali” e non come parte separata anche da noi stessi.
Si tratta quindi di ridefinire una complessiva modalità di vita che riaffronti il tempo e la sua scansione, non più quindi la novecentesca scansione delle “tre 8” (per dormire per lavorare per vivere), ma speriamo una possibile riduzione del tempo dedicato al lavoro, una sua maggiore flessibilità ed una sua possibile periodizzazione alternata a periodi di riposo, altrimenti la non auspicabile prospettiva è la riduzione delle forze produttive come il secolo scorso ci ha insegnato: la guerra come strumento di riduzione delle forze produttive e dei prodotti con la realizzazione di investimenti nel settore degli armamenti e conseguente ulteriore sviluppo tecnologico, forse accompagnato da una redistribuzione del reddito e del benessere sociale per alcuni, i vincitori ovviamente.
Proviamo a pensare di poter andare in pensione avendo maturato solo qualche anno di contributi, magari a 30 anni quando si ha voglia e possibilità maggiori di divertimento e di vita, per poi riprendere l’attività lavorativa ed andare in pensione a 70 compensando il tempo già usato per la pensione; perché la flessibilità deve avere per forza connotati di negatività, perché dobbiamo appartenere culturalmente ad un mondo superato e voler solo riprodurre quasi ciberneticamente un mondo che sta cambiando?
Chiediamoci il perché viene meno la nostra rappresentanza e se non diamo di noi stessi un immagine superata senza un volo, non di fantasia, ma come proposta di cambiamento reale che si affacci al mondo che verrà con chi ci sarà e che smetta di essere auto-conservativo nel suo corporativismo primitivo: la crisi impone scelte importanti e chi avrà il coraggio di farle potrà essere il gestore di un futuro che vorremmo sempre migliore e questo atto dimostrerà il nostro altruismo verso chi verrà altrimenti saranno ricordi privi di senso da reduci dell’ennesima sconfitta.
Alberto Battaglia
27 febbraio 2012
24 febbraio 2012
SItuazione Alcatel
Oggi mi permetto di segnalare una situazione che purtroppo conosco molto bene ma che credo rappresenti con chiarezza cosa sta succedendo in Italia e quanto il nostro paese stia mettendo a rischio il proprio futuro.
La Alcatel Lucent è una azienda che progetta, produce e commercializza apparati di telecomunicazione.
Alcatel Lucent Italia impiega oggi 2000 addetti, di cui 1300 a Vimercate.
20 anni fa, la azienda occupava 17000 lavoratori.
Gli addetti attualmente occupati sono in massima parte ricercatori di alto livello professionale, laureati e specializzati in progettazione di apparati di trasmissione.
Alcatel Lucent Italia è una delle poche aziende che assume giovani laureati per fare ricerca tecnologica e l’unica nel campo strategico delle trasmissioni in Italia.
Alcatel Lucent ha riportato risultati positivi nel 2011, facendo utili e ottenendo risultati molto incoraggianti nell’ultimo quarto. Gli ultimi neolaureati in Italia sono stati assunti lo scorso Dicembre.
Nonostante non sia una azienda in crisi, ALU ha annunciato 700 esuberi in Italia di cui 490 a Vimercate, colpendo in modo estremamente consistente per la prima volta la parte legata alla ricerca ed allo sviluppo di nuovi prodotti.
Per vendere in USA, infatti, ALU è obbligata a rinforzare la ricerca e sviluppo negli Stati Uniti. Ogni ricercatore in USA costa almeno il doppio di un ricercatore italiano e nello specifico campo la competenza dei ricercatori di Vimercate è come minimo equivalente.
ALU non può presentare costi di ricerca e sviluppo aumentati per non peggiorare i conti trimestrali, anche se si tratta di investimenti per nuovi progetti che amplieranno l’offerta.
La soluzione trovata prevede di diminuire sensibilmente la R&D in Europa e nello specifico in Italia.
Le conseguenze di un così sostanzioso indebolimento, che potrebbe portare il centro di ricerca di Vimercate sotto la massa critica per cui ha senso affidare la missione di progettare nuovi prodotti, non si limita alla perdita di centinaia di posti di lavoro, ma anche ad un impoverimento dell’indotto, stimabile in almeno altri 200 posti di lavoro (stima per difetto) e soprattutto chiude l’ultimo sbocco che i giovani italiani laureati in ingegneria delle telecomunicazioni avevano per fare ricerca nel campo delle trasmissioni.
I giovani italiani saranno perciò obbligati a cercare lavoro all’estero ed in Italia si perderà una competenza fondamentale per spendere correttamente i soldi pubblici potenziando adeguatamente le infrastrutture informatiche.
Infine, Università di prestigio come il Politecnico perdono uno degli ultimi, se non addirittura l’ultimo, partner industriale italiano nel campo delle trasmissioni per fare innovazione in Italia e per avviare i giovani laureati verso il mondo del lavoro con una adeguata preparazione anche sul campo.
Si tratta insomma di una battaglia che l’intero sistema paese non può perdere.
Canzio Dusi
Twitter: @CanzioDusi
La Alcatel Lucent è una azienda che progetta, produce e commercializza apparati di telecomunicazione.
Alcatel Lucent Italia impiega oggi 2000 addetti, di cui 1300 a Vimercate.
20 anni fa, la azienda occupava 17000 lavoratori.
Gli addetti attualmente occupati sono in massima parte ricercatori di alto livello professionale, laureati e specializzati in progettazione di apparati di trasmissione.
Alcatel Lucent Italia è una delle poche aziende che assume giovani laureati per fare ricerca tecnologica e l’unica nel campo strategico delle trasmissioni in Italia.
Alcatel Lucent ha riportato risultati positivi nel 2011, facendo utili e ottenendo risultati molto incoraggianti nell’ultimo quarto. Gli ultimi neolaureati in Italia sono stati assunti lo scorso Dicembre.
Nonostante non sia una azienda in crisi, ALU ha annunciato 700 esuberi in Italia di cui 490 a Vimercate, colpendo in modo estremamente consistente per la prima volta la parte legata alla ricerca ed allo sviluppo di nuovi prodotti.
Per vendere in USA, infatti, ALU è obbligata a rinforzare la ricerca e sviluppo negli Stati Uniti. Ogni ricercatore in USA costa almeno il doppio di un ricercatore italiano e nello specifico campo la competenza dei ricercatori di Vimercate è come minimo equivalente.
ALU non può presentare costi di ricerca e sviluppo aumentati per non peggiorare i conti trimestrali, anche se si tratta di investimenti per nuovi progetti che amplieranno l’offerta.
La soluzione trovata prevede di diminuire sensibilmente la R&D in Europa e nello specifico in Italia.
Le conseguenze di un così sostanzioso indebolimento, che potrebbe portare il centro di ricerca di Vimercate sotto la massa critica per cui ha senso affidare la missione di progettare nuovi prodotti, non si limita alla perdita di centinaia di posti di lavoro, ma anche ad un impoverimento dell’indotto, stimabile in almeno altri 200 posti di lavoro (stima per difetto) e soprattutto chiude l’ultimo sbocco che i giovani italiani laureati in ingegneria delle telecomunicazioni avevano per fare ricerca nel campo delle trasmissioni.
I giovani italiani saranno perciò obbligati a cercare lavoro all’estero ed in Italia si perderà una competenza fondamentale per spendere correttamente i soldi pubblici potenziando adeguatamente le infrastrutture informatiche.
Infine, Università di prestigio come il Politecnico perdono uno degli ultimi, se non addirittura l’ultimo, partner industriale italiano nel campo delle trasmissioni per fare innovazione in Italia e per avviare i giovani laureati verso il mondo del lavoro con una adeguata preparazione anche sul campo.
Si tratta insomma di una battaglia che l’intero sistema paese non può perdere.
Canzio Dusi
Twitter: @CanzioDusi
22 febbraio 2012
Unione con separazione dei beni
Ieri mattina, come ogni mattina, ho preso cappuccio e brioche mentre sfogliavo il Corriere.
Circa a metà dell'editoriale di Angelo Panebianco ho letto una cosa che proprio ignoravo.
Il PD è nato nel 2007 dalla fusione di Margherita e DS (e fin qui lo sapevo), fusione che però ho scoperto è stata solo parziale. Immaginavo che i vecchi simboli fossero ancora depositati da qualche parte e di proprietà diverse, non del PD, ma ero convinto che le strutture si fossero completamente fuse.. del resto la nascita del nuovo partito è stato un evento epocale.
Beh.. oggi scopro che in realtà i conti correnti e le proprietà sono sempre rimaste divise, insomma, le cose che valgono si sono ben guardati dal metterle in comune.
E allora mi chiedo... è stato tutto fatto in previsione di un divorzio? Ci si è fusi assieme con una buona dose di diffidenza?
Io non appartenevo ne all'una ne all'altro, il PD è stato l'unico partito per il quale mi sia mai impegnato, e la divisione che si percepiva nelle riunioni e nei discorsi pensavo che col tempo sarebbe andata a scemare fino a scomparire. Doveva per forza andare così visto che il partito ora era uno solo.
Oggi invece scopro che nell'organizzazione profonda, di base, il PD è sempre stato diviso, che non è mai stato un solo partito, che sono due che si presentano con un nome comune: una sorta di joint-venture, non una nuova società.
E allora certe divisioni, anche a livello dirigenziale, prendono nuovi significati, allora comincio veramente a disperare sul fatto che questo partito possa veramente diventare quello che tutti noi sognavamo.
Ancora una volta vedo il distacco che c'è tra chi sta alla base del PD, quelli che fanno i banchetti, che hanno voglia di cambiare veramente le cose, e chi il PD lo comanda, lo dirige: la base vuole il partito unico, i vertici tengono le casse separate.
Ma a Roma c'è la volontà di fare un partito unico, di fare il Partito Democratico?
C'è veramente questa volontà?
Perchè io comincio a temere tanto che sia stata una semplice mossa di strategia politica, non un atto di fede, di impegno, di volontà per cambiare il mondo nel quale viviamo.
Ovviamente spero di sbagliarmi.
Diego Savardi
Twitter: @siego
21 febbraio 2012
Elezioni
Il prossimo importante snodo della politica italiana sarà legato alle elezioni amministrative.
Se ne parlava anche durante l’incontro molto interessante di Giovedì scorso a Calco in cui si discuteva degli effetti della finanziaria sui bilanci dei Comuni.
Il PDL inizia ad ipotizzare di presentarsi come lista civica, senza simbolo. Un chiaro segnale di paura per i risultati che potrebbero essere molto negativi.
Se il PDL uscisse dalle elezioni con le ossa rotte, ecco che per esempio il ministro Passera potrebbe forzare la richiesta di pagare le frequenze televisive beneficiando del poco interesse che avrebbe il PDL a far cadere il governo per andare a elezioni anticipate.
Come si sa, il PDL basa la sua strategia sui sondaggi ed evidentemente i risultati che stanno giungendo ai vertici del PDL non sono incoraggianti.
In realtà, ci sono sondaggi in circolazione molto diversi fra loro.
Tutte queste consultazioni più o meno complete confermano in ogni caso che esiste davvero un partito che uscirebbe oggi vincente a mani basse dalle urne: il partito del non voto.
I potenziali elettori che oggi non andrebbero a votare rappresentano la vera sfida di ogni partito.
Il PD deve convincere questi elettori di essere un partito affidabile, con le idee chiare, in grado di governare con linearità e di dare stabilità al paese. Sembra facile, ma in realtà un partito che vuole essere la alta sintesi di culture fra loro diverse deve scontrarsi con un continuo tentativo delle proprie componenti di distinguersi dalle altre, di non farsi omologare dal partito nella sua globalità.
Ecco perché purtroppo leader nazionali importanti, che avrebbero tutte le sedi e le opportunità per portare avanti le loro posizioni all’interno del partito, preferiscono spesso la grancassa dei media. L’obiettivo non è sostenere le loro posizioni all’interno del partito, ma lanciare messaggi di distinzione verso l’esterno per ottenere visibilità al di fuori del partito stesso.
L’effetto di queste amplificazioni dei distinguo presenti all’interno del PD fa aumentare la diffidenza degli elettori che tenderebbero a votare un partito riformista e di centro-sinistra, ma non vogliono assistere all’ennesimo spettacolo di litigi, divisioni, rotture.
Usciamo pure dalle nostre riunioni interne con gli occhi pesti e la mani gonfie, ma con una posizione finale unitaria. Chiunque parla a nome del PD, riporti la versione ufficiale prima di tutto. Non è vietato spiegare le proprie remore, ma non è ammissibile farne una bandiera di distinzione incolmabile.
Il coordinatore dei circoli PD del meratese
Canzio Dusi
Twitter: @CanzioDusi
Se ne parlava anche durante l’incontro molto interessante di Giovedì scorso a Calco in cui si discuteva degli effetti della finanziaria sui bilanci dei Comuni.
Il PDL inizia ad ipotizzare di presentarsi come lista civica, senza simbolo. Un chiaro segnale di paura per i risultati che potrebbero essere molto negativi.
Se il PDL uscisse dalle elezioni con le ossa rotte, ecco che per esempio il ministro Passera potrebbe forzare la richiesta di pagare le frequenze televisive beneficiando del poco interesse che avrebbe il PDL a far cadere il governo per andare a elezioni anticipate.
Come si sa, il PDL basa la sua strategia sui sondaggi ed evidentemente i risultati che stanno giungendo ai vertici del PDL non sono incoraggianti.
In realtà, ci sono sondaggi in circolazione molto diversi fra loro.
Tutte queste consultazioni più o meno complete confermano in ogni caso che esiste davvero un partito che uscirebbe oggi vincente a mani basse dalle urne: il partito del non voto.
I potenziali elettori che oggi non andrebbero a votare rappresentano la vera sfida di ogni partito.
Il PD deve convincere questi elettori di essere un partito affidabile, con le idee chiare, in grado di governare con linearità e di dare stabilità al paese. Sembra facile, ma in realtà un partito che vuole essere la alta sintesi di culture fra loro diverse deve scontrarsi con un continuo tentativo delle proprie componenti di distinguersi dalle altre, di non farsi omologare dal partito nella sua globalità.
Ecco perché purtroppo leader nazionali importanti, che avrebbero tutte le sedi e le opportunità per portare avanti le loro posizioni all’interno del partito, preferiscono spesso la grancassa dei media. L’obiettivo non è sostenere le loro posizioni all’interno del partito, ma lanciare messaggi di distinzione verso l’esterno per ottenere visibilità al di fuori del partito stesso.
L’effetto di queste amplificazioni dei distinguo presenti all’interno del PD fa aumentare la diffidenza degli elettori che tenderebbero a votare un partito riformista e di centro-sinistra, ma non vogliono assistere all’ennesimo spettacolo di litigi, divisioni, rotture.
Usciamo pure dalle nostre riunioni interne con gli occhi pesti e la mani gonfie, ma con una posizione finale unitaria. Chiunque parla a nome del PD, riporti la versione ufficiale prima di tutto. Non è vietato spiegare le proprie remore, ma non è ammissibile farne una bandiera di distinzione incolmabile.
Il coordinatore dei circoli PD del meratese
Canzio Dusi
Twitter: @CanzioDusi
20 febbraio 2012
Triste ma vero, in tema di crescita.
Poche righe per descrivere una realtà non così eccezionale, penso, ma che si traduce in motivi per non avere fiducia. Quindi da combattere nel più strenuo dei modi, pensando alle forme possibili, comunicazioni alla stampa, circolazione di email, interrogazioni a enti preposti ai diversi compiti ecc. ecc.. Ma non abbandoniamo il campo perché se no “il campo abbandona noi.”
Conosco nei dettagli l’operazione sopra descritta e quindi non temo di essere accusato di parlare a vanvera. La crescita, con i criteri di sovra-protezione da un lato e di abitudine alla illegalità dall’altro, rischia di essere impossibile o per lo meno molto inferiore a quanto potrebbe essere possibile.
La mia è una provocazione per invitare alla riflessione su tutti i differenti aspetti della questione.
Le liberalizzazioni, devono dare effetti non di compensazione fra chi risparmia e chi guadagna di più, ma di espansione delle attività per la fiducia che emerge dalla riduzione della forza delle corporazioni.
L’illegalità e la sovra-protezione frenano fortemente, come si dimostra oltre che dall’esempio elementare sopra riportato, e che ha a che fare con il pieno Nord, dalle situazioni di iniziative in tutta Italia, e in particolare nelle zone più esposte alle infiltrazioni criminali.
Augusto Rimini
- soggetto della vicenda : piccola azienda di circa 10 dipendenti, molto avanzata tecnologicamente e molto affermata internazionalmente (rapporti con estero sia Est sia Europa, sia Canada.
- tre situazioni pressoché concomitanti:
- assunzione di una persona, impiegata, con contratto a tempo indeterminato. (sempre con questa tipologia di contratto). Assenza dal primo giorno (!!) con dichiarazione di malattia protratta per alcuni mesi. Impossibilità di lasciare a casa la persona perché in periodo di prova la malattia blocca la possibilità di licenziamento. (Assoluta certezza di malattia fasulla ……)
- Intervento di burocrazia del tutto “immaginario” per, sostanzialmente, avere soldi per “sistemare tutto”. Non so come si chiami questa imposizione, ma sicuramente rientra nell’illecito.
- Intervento corruttorio di cliente per ottenere un documento “illegale” con pagamento di soldi contanti.
- Il soggetto in questione, aperto a continui investimenti per mantenere e migliorare la propria posizione sul mercato, decide di trasportare la sua attività all’estero !!!!!!
Conosco nei dettagli l’operazione sopra descritta e quindi non temo di essere accusato di parlare a vanvera. La crescita, con i criteri di sovra-protezione da un lato e di abitudine alla illegalità dall’altro, rischia di essere impossibile o per lo meno molto inferiore a quanto potrebbe essere possibile.
La mia è una provocazione per invitare alla riflessione su tutti i differenti aspetti della questione.
Le liberalizzazioni, devono dare effetti non di compensazione fra chi risparmia e chi guadagna di più, ma di espansione delle attività per la fiducia che emerge dalla riduzione della forza delle corporazioni.
L’illegalità e la sovra-protezione frenano fortemente, come si dimostra oltre che dall’esempio elementare sopra riportato, e che ha a che fare con il pieno Nord, dalle situazioni di iniziative in tutta Italia, e in particolare nelle zone più esposte alle infiltrazioni criminali.
Augusto Rimini
16 febbraio 2012
Europa come diamante
Siamo sull'orlo del fallimento o all'inizio di una nuova era?
Sarò forse eccessivamente ottimista, ma sento che ne usciremo bene, anzi meglio.
I mercati premono ancora, premono sul debito pubblico italiano, premono su quello greco, portoghese, francese e spagnolo, premono sull'Euro, premono sulla tenuta della stessa Unione Europea.
Sarò forse eccessivamente ottimista, ma sento che ne usciremo bene, anzi meglio.
I mercati premono ancora, premono sul debito pubblico italiano, premono su quello greco, portoghese, francese e spagnolo, premono sull'Euro, premono sulla tenuta della stessa Unione Europea.
Sono in ballo miliardi di Euro, centinaia di miliardi di Euro. Sembra che ci sia anche chi vuole spingerci giù nel baratro, pronto a scommettere che non ce la faremo. Penso alle agenzie di rating americane, che ultimamente danno proprio l'idea di voler fare lo sgambetto all'Europa... non conosco la fanta-economia ma sono sicuro che c'è anche chi ci guadagna dalla dissoluzione dell'Euro.
Io li ringrazio. Ringrazio le agenzie, ringrazio gli investitori che fanno crescere gli interessi sui titoli di stato (anche se i nostri sembrano ormai aver intrapreso la discesa), ringrazio chi ci sta col fiato sul collo, con la pistola puntata addosso, pronto e voglioso di sparare.
Li ringrazio perché costringeranno l'Europa e gli europei a fare sul serio, a unire le forze e fare squadra.
Noi ora abbiamo Monti, a qualcuno piace, altri lo detestano. A me piace. L'economia è un fiume rabbioso che scorre incessante e veloce, e per non far ribaltare il canotto su cui siamo dobbiamo avere alla guida qualcuno che il fiume lo conosce. Il nostro Primo Ministro è questo qualcuno, uno dei migliori, è la persona in grado di canalizzare nella giusta direzione l'energia di una piena da disgelo.
Io li ringrazio. Ringrazio le agenzie, ringrazio gli investitori che fanno crescere gli interessi sui titoli di stato (anche se i nostri sembrano ormai aver intrapreso la discesa), ringrazio chi ci sta col fiato sul collo, con la pistola puntata addosso, pronto e voglioso di sparare.
Li ringrazio perché costringeranno l'Europa e gli europei a fare sul serio, a unire le forze e fare squadra.
Noi ora abbiamo Monti, a qualcuno piace, altri lo detestano. A me piace. L'economia è un fiume rabbioso che scorre incessante e veloce, e per non far ribaltare il canotto su cui siamo dobbiamo avere alla guida qualcuno che il fiume lo conosce. Il nostro Primo Ministro è questo qualcuno, uno dei migliori, è la persona in grado di canalizzare nella giusta direzione l'energia di una piena da disgelo.
L'acqua è energia, l'economia è energia e anche la voglia di cambiamento è energia. L'energia fa vivere il mondo, fa crescere le piante e viaggiare le auto, ma produce anche tsunami e uragani.
L'energia va controllata, deve essere usata per produrre le reazioni volute. La reazione che ci serve è l'unione, l'unione dell'Europa, e Monti sarà il catalizzatore, sarà quello che permetterà che ciò avvenga più facilmente, più rapidamente e soprattutto nel modo più corretto possibile.
Faremo l'Europa, gli Stati Uniti d'Europa: uniti nell'impegno, uniti nei sacrifici, uniti nel progresso.
Questa è l'unica opzione che abbiamo: o sparire o unirci.
La saggezza popolare ci insegna che l'unione fa la forza, ed è questo che dobbiamo capire tutti.
A Bruxelles mancavamo noi, mancava l'Italia, ora siamo arrivati, un po' tardi perché alla guida del terzo pilastro d'Europa c'era la persona sbagliata, ma adesso siamo in prima fila, pronti a dare le idee giuste e a lavorare perché l'unione avvenga.
L'Europa è nata a Roma, e da Roma partirà la rinascita.
Io sono ottimista. Troppo? Non credo.
Non c'è alternativa e nessuno di chi sta ora nella stanza dei bottoni, non la Merkel, non Sarkozy, non di sicuro Monti, è così stupido da non averlo capito.
La pressione genera il diamante.
La pressione genererà l'Europa.
14 febbraio 2012
La modifica della legge elettorale
E’ fondamentale modificare la attuale legge elettorale in Parlamento.
Per farlo, serve che una maggioranza di parlamentari converga su una proposta.
Detto questo, poiché ogni partito avrebbe la sua proposta, o si trova una sintesi che comprenda le diverse opzioni rischiando di generare l’ennesimo compromesso che non risolve nulla, oppure qualche partito arretra accettando la proposta che sembra avere più chance di raggiungere una possibile maggioranza di voti.
Se questo sarà il processo seguito per archiviare l’attuale vergognosa legge elettorale e ridare agli elettori la possibilità di scegliere da chi essere rappresentati, sarà giusto sostenere la nuova legge pur se non ci soddisfa.
Ricordiamo con l’occasione che il PD sostiene la legge elettorale maggioritaria uninominale a doppio turno.
Quale è il vantaggio del maggioritario rispetto al proporzionale?
Il principale vantaggio del meccanismo maggioritario consiste nel fatto che le coalizioni di governo ed i relativi programmi si definiscono prima di andare a votare, così l’elettore sceglie chi e come governerà.
Quando c’era il proporzionale, infatti, per esempio, un elettore particolarmente attento al problema della famiglia votava per la DC che nel suo programma prevedeva leggi di sostegno all’istituzione familiare.
Poi però il governo era composto da 5 partiti, i segretari di partito nominavano un primo ministro che magari l’elettore che stiamo usando ad esempio non avrebbe mai votato e il nuovo programma di governo non conteneva alcuna norma a favore della famiglia.
Il difetto del maggioritario invece sta nel fatto che chi vince, anche con un solo voto di scarto, governa e non c’è distribuzione proporzionale dei seggi rispetto ai voti. Inoltre, il maggioritario funziona se la coalizione resta compatta e coerente.
Il maggioritario a doppio turno, infine, permette di pesare al primo turno le varie componenti proprio per rendere poi più stabile la coalizione vincente.
Canzio Dusi
Twitter: @CanzioDusi
Per farlo, serve che una maggioranza di parlamentari converga su una proposta.
Detto questo, poiché ogni partito avrebbe la sua proposta, o si trova una sintesi che comprenda le diverse opzioni rischiando di generare l’ennesimo compromesso che non risolve nulla, oppure qualche partito arretra accettando la proposta che sembra avere più chance di raggiungere una possibile maggioranza di voti.
Se questo sarà il processo seguito per archiviare l’attuale vergognosa legge elettorale e ridare agli elettori la possibilità di scegliere da chi essere rappresentati, sarà giusto sostenere la nuova legge pur se non ci soddisfa.
Ricordiamo con l’occasione che il PD sostiene la legge elettorale maggioritaria uninominale a doppio turno.
Quale è il vantaggio del maggioritario rispetto al proporzionale?
Il principale vantaggio del meccanismo maggioritario consiste nel fatto che le coalizioni di governo ed i relativi programmi si definiscono prima di andare a votare, così l’elettore sceglie chi e come governerà.
Quando c’era il proporzionale, infatti, per esempio, un elettore particolarmente attento al problema della famiglia votava per la DC che nel suo programma prevedeva leggi di sostegno all’istituzione familiare.
Poi però il governo era composto da 5 partiti, i segretari di partito nominavano un primo ministro che magari l’elettore che stiamo usando ad esempio non avrebbe mai votato e il nuovo programma di governo non conteneva alcuna norma a favore della famiglia.
Il difetto del maggioritario invece sta nel fatto che chi vince, anche con un solo voto di scarto, governa e non c’è distribuzione proporzionale dei seggi rispetto ai voti. Inoltre, il maggioritario funziona se la coalizione resta compatta e coerente.
Il maggioritario a doppio turno, infine, permette di pesare al primo turno le varie componenti proprio per rendere poi più stabile la coalizione vincente.
Canzio Dusi
Twitter: @CanzioDusi
09 febbraio 2012
Come può evolvere il lavoro
La discussione sulla flessibilità del lavoro e sull’articolo 18 attualmente sembra essere soprattutto una discussione ideologica e teorica, tenendo conto che siamo in una società in cui mancano le opportunità di lavoro per tanti lavoratori ed in cui il potere di acquisto delle retribuzioni è notevolmente basso.
Il modello che prevede un ampio turnover ed un continuo cambiamento del proprio posto di lavoro può funzionare se la dinamica viene supportata dalla alta probabilità di trovare un lavoro alternativo ed equivalentemente dignitoso in tempi molto rapidi e se le retribuzioni sono sufficientemente alte da poter gestire momenti temporanei e brevi di disoccupazione e aggiornamento o da poter sostenere maggiori spese qualora la sede del nuovo lavoro preveda un incremento dei costi di spostamento o di domicilio.
Se e solo se si creano presupposti di questo tipo, ha senso ragionare sulle caratteristiche del posto fisso rispetto alla flessibilità. E’ necessario prima di tutto trasformare l’Italia in modo che sia conveniente investire per creare lavoro nel nostro paese, avendo la certezza dei pagamenti, della correttezza dei comportamenti fiscali di tutti, della giustizia in tempi rapidi, delle infrastrutture (anche tecnologiche) adeguate.
Se la condizione dei giovani è caratterizzata dalla precarietà e se il posto fisso è l’unica ancora di salvezza per chi ha già compiuto 40 anni, ma è per entrambi le categorie elemento fondamentale per accedere al mondo del credito, allora la priorità è migliorare la situazione del mercato del lavoro prima di diminuire le sicurezze dei lavoratori.
In tutto questo ragionamento, ricordiamoci poi che le persone non devono perdere le loro radici, il loro legame con la famiglia, con i loro interessi, con le loro attività extra-professionali. Il lavoro può e deve dare soddisfazioni, senso di realizzazione, dignità, reddito, ma l’uomo è creatura complessa ed i bisogni che lo completano riguardano anche la cultura, le passioni, la ricerca di bellezza, il senso della solidarietà, la consapevolezza di essere parte di una società.
Il coordinatore dei circoli PD del meratese
Canzio Dusi
Twitter: @CanzioDusi
Il modello che prevede un ampio turnover ed un continuo cambiamento del proprio posto di lavoro può funzionare se la dinamica viene supportata dalla alta probabilità di trovare un lavoro alternativo ed equivalentemente dignitoso in tempi molto rapidi e se le retribuzioni sono sufficientemente alte da poter gestire momenti temporanei e brevi di disoccupazione e aggiornamento o da poter sostenere maggiori spese qualora la sede del nuovo lavoro preveda un incremento dei costi di spostamento o di domicilio.
Se e solo se si creano presupposti di questo tipo, ha senso ragionare sulle caratteristiche del posto fisso rispetto alla flessibilità. E’ necessario prima di tutto trasformare l’Italia in modo che sia conveniente investire per creare lavoro nel nostro paese, avendo la certezza dei pagamenti, della correttezza dei comportamenti fiscali di tutti, della giustizia in tempi rapidi, delle infrastrutture (anche tecnologiche) adeguate.
Se la condizione dei giovani è caratterizzata dalla precarietà e se il posto fisso è l’unica ancora di salvezza per chi ha già compiuto 40 anni, ma è per entrambi le categorie elemento fondamentale per accedere al mondo del credito, allora la priorità è migliorare la situazione del mercato del lavoro prima di diminuire le sicurezze dei lavoratori.
In tutto questo ragionamento, ricordiamoci poi che le persone non devono perdere le loro radici, il loro legame con la famiglia, con i loro interessi, con le loro attività extra-professionali. Il lavoro può e deve dare soddisfazioni, senso di realizzazione, dignità, reddito, ma l’uomo è creatura complessa ed i bisogni che lo completano riguardano anche la cultura, le passioni, la ricerca di bellezza, il senso della solidarietà, la consapevolezza di essere parte di una società.
Il coordinatore dei circoli PD del meratese
Canzio Dusi
Twitter: @CanzioDusi
07 febbraio 2012
Mettersi in gioco
“La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione...”, canta Gaber.
Libertà è partecipazione ma anche libertà e partecipazione.
Due cose distinte solo da un piccolo accento ma legate da una profonda ed inscindibile relazione di causa ed effetto.
Si perché...quando mi guardo nello specchio “ci deve sempre pensare qualcun altro”.
Noi siamo impotenti... siamo solo inerti spettatori, umili “portatori d’acqua”, guardiamo ma non tocchiamo.
Non ci azzardiamo a toccare.
Ogni volta tutto avviene “sopra le nostre teste”.
Si “mettono le mani nelle tasche degli italiani”, però non si dovrebbero mai mettere nelle nostre di tasche, quasi che fossimo cittadini neozelandesi, perché “abbiamo già dato”.
E via così indignandosi di luogo comune in luogo comune.
E, a proposito di comune, adesso parliamo di casa nostra, di Calco, del Meratese, della Provincia di Lecco, della Lombardia.
Mentre si sta sviluppando la manovra “Cresci Italia”, niente e nessuno ci impedisce di progettare una nostra piccola manovra “Cresci Calco”, fatte naturalmente le debite proporzioni e, soprattutto, senza montarsi troppo la testa.
La nuova IMU di fatto potrebbe suonare come un beffardo “cavatevela da soli”.
Possiamo piangerci addosso, accusando lo Stato, anche a ragione, di intascarsi i nostri soldi, oppure possiamo provare ad interpretare questa come una sfida in positivo e magari possiamo anche riuscire a vincerla, attingendo a risorse che fino ad ora non siamo stati capaci di sfruttare, perché no?
I periodi di crisi dovrebbero servire anche a questo, o no?
Per riuscirci abbiamo bisogno dell’impegno di tutti e di una classe dirigente che sia in grado da fare bene il suo lavoro.
Sia chiaro che non considero che quella attuale sia incapace “in toto”, anzi.
Sarebbe ingiusto e populista pensarlo ed oltretutto profondamente ingeneroso nei confronti di molte, moltissime persone che si spendono ogni giorno con impegno e dedizione, per fare al meglio il proprio lavoro, in condizioni molte volte difficilissime.
Però continuo a percepire urgente, sempre più a stento repressa, l' impellente necessità di guardare tutti, tutti noi, alla politica con un atteggiamento nuovo, aperto ed originale, rivolto verso l’interpretazione e la concreta, quotidiana, attuazione della politica, della buona Politica.
Abbiamo “semplicemente” bisogno che anche altre persone si calino nella realtà odierna per quella che è, per dare una mano liberamente, per dare il loro contributo concreto con autentico spirito riformatore.
Non solo gli addetti ai lavori o i “soliti noti”.
Nuovi punti di vista, freschi, autonomi e possibilmente anche entusiasti, che propongano idee, delineino “le nuove forme” della Politica, quella con la “P” maiuscola che vorremmo.
Per me anche questo significherebbe agire da riformatore in concreto.
Abbiamo bisogno di persone di talento che sentano l’esigenza di “mettersi in gioco” spontaneamente, senza aspettarsi nulla in cambio se non l’intima e personale soddisfazione di aver contribuito alla costruzione di qualcosa che contenga anche le loro idee, un pezzettino del modello di Società che hanno nelle loro teste.
Persone, Cittadini che sentano dentro di loro l’esigenza di mettersi in gioco, senza alibi, senza mettere le mani avanti, senza schivare le responsabilità, senza dietrologie, senza retro pensieri tipo “se lo ha fatto è perché sicuramente avrà il suo bell’interesse”, soprattutto senza pregiudizi e precondizioni.
Quando ciascuno “butterà li, sul tavolo” quello che vorrebbe, le proprie idee, le sue proposte, apertamente, liberamente, laicamente, con entusiasmo, allora da quel materiale ancora grezzo ed informe, potremo cominciare a sbozzare una, due, tante proposte concrete da far circolare per “vedere l’effetto che fa”.
Attenzione: ciascun contributo sarà comunque prezioso, anche il più piccolo ed umile, forse soprattutto il più piccolo ed umile.
Ho iniziato con una citazione di Giorgio Gaber, poi ci ho infilato Enzo Jannacci, lasciatemi concludere con Francesco De Gregori:
02 febbraio 2012
Il Blog nasce
Questo Blog nasce dall’esigenza di creare un nuovo rapporto fra chi ha deciso di impegnarsi in politica ed i cittadini. Le nuove tecnologie impongono di ripensare ad un rapporto che abbia meno livelli intermedi, una connessione che sia diretto, continua, immediata.
I cittadini si aspettano di poter fare proposte, di poter chiedere chiarimenti, di poter porre questioni importanti e di essere subito ascoltati.
Chi fa politica deve mettersi nell’ottica che non ci sono più solo i momenti strutturati di discussione, che pure permangono e restano molto utili, ma ci sono anche possibilità di discussioni fluide e continue, di confronti permanenti da cui possono nascere soluzioni ed idee.
Questo blog è quindi aperto a chiunque voglia fornire un contributo, a chiunque voglia proporre idee o porre domande, senza censura ideologica, senza filtro sull’importanza degli argomenti proposti, senza pretendere di essere un sito completo e strutturato, ma con l’idea di diventare un riferimento per il confronto nel circondario meratese su qualunque tema possa incidere sulla vita di cittadini.
Le regole sono banali:
Attendiamo quindi da oggi tanti contributi per arricchire ulteriormente il dibattito politico nel circondario meratese e ridare alla politica la sua antica, meravigliosa dignità.
Il coordinatore dei circoli PD del meratese
Canzio Dusi
Osnago
I cittadini si aspettano di poter fare proposte, di poter chiedere chiarimenti, di poter porre questioni importanti e di essere subito ascoltati.
Chi fa politica deve mettersi nell’ottica che non ci sono più solo i momenti strutturati di discussione, che pure permangono e restano molto utili, ma ci sono anche possibilità di discussioni fluide e continue, di confronti permanenti da cui possono nascere soluzioni ed idee.
Questo blog è quindi aperto a chiunque voglia fornire un contributo, a chiunque voglia proporre idee o porre domande, senza censura ideologica, senza filtro sull’importanza degli argomenti proposti, senza pretendere di essere un sito completo e strutturato, ma con l’idea di diventare un riferimento per il confronto nel circondario meratese su qualunque tema possa incidere sulla vita di cittadini.
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- Bisogna sempre firmare ogni contributo, non saranno pubblicati interventi anonimi.
- Non verranno pubblicati interventi offensivi che possano dar adito a contenziosi legali.
- I contributi verranno letti prima di apparire sul blog, ma questo non implicherà censura o la selezione dei soli contributi graditi.
- Ogni persona che proporrà un contributo dovrà accettare che altri cittadini la pensino in maniera diversa da lei/lui, nella diversità di opinioni si nasconde la verità.
Attendiamo quindi da oggi tanti contributi per arricchire ulteriormente il dibattito politico nel circondario meratese e ridare alla politica la sua antica, meravigliosa dignità.
Il coordinatore dei circoli PD del meratese
Canzio Dusi
Osnago
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