09 febbraio 2012

Come può evolvere il lavoro

La discussione sulla flessibilità del lavoro e sull’articolo 18 attualmente sembra essere soprattutto una discussione ideologica e teorica,  tenendo conto che siamo in una società in cui mancano le opportunità di lavoro per tanti lavoratori ed in cui il potere di acquisto delle retribuzioni è notevolmente basso.

Il modello che prevede un ampio turnover ed un continuo cambiamento del proprio posto di lavoro può funzionare se la dinamica viene supportata dalla alta probabilità di trovare un lavoro alternativo ed equivalentemente dignitoso in tempi molto rapidi e se le retribuzioni sono sufficientemente alte da poter gestire momenti temporanei e brevi di disoccupazione e aggiornamento o da poter sostenere maggiori spese qualora la sede del nuovo lavoro preveda un incremento dei costi di spostamento o di domicilio.


Se e solo se si creano presupposti di questo tipo, ha senso ragionare sulle caratteristiche del posto fisso rispetto alla flessibilità. E’ necessario prima di tutto trasformare l’Italia in modo che sia conveniente investire per creare lavoro nel nostro paese, avendo la certezza dei pagamenti, della correttezza dei comportamenti fiscali di tutti, della giustizia in tempi rapidi, delle infrastrutture (anche tecnologiche) adeguate.


Se la condizione dei giovani è caratterizzata dalla precarietà e se il posto fisso è l’unica ancora di salvezza per chi ha già compiuto 40 anni, ma è per entrambi le categorie elemento fondamentale per accedere al mondo del credito, allora la priorità è migliorare la situazione del mercato del lavoro prima di diminuire le sicurezze dei lavoratori.

In tutto questo ragionamento, ricordiamoci poi che le persone non devono perdere le loro radici, il loro legame con la famiglia, con i loro interessi, con le loro attività extra-professionali. Il lavoro può e deve dare soddisfazioni, senso di realizzazione, dignità, reddito, ma l’uomo è creatura complessa ed i bisogni che lo completano riguardano anche la cultura, le passioni, la ricerca di bellezza, il senso della solidarietà, la consapevolezza di essere parte di una società.

Il coordinatore dei circoli PD del meratese
Canzio Dusi
Twitter: @CanzioDusi




2 commenti:

  1. A proposito di eguaglianza e di tutela ….
    di Alberto Battaglia.

    Partiamo dai numeri:
    Secondo le ultime statistiche Istat il tessuto produttivo italiano è composto per il 95% da aziende e imprese con meno di 10 dipendenti e di queste il 62% è a carattere individuale.
    La Confederazione artigianale e delle piccole imprese di Mestre elaborando dati del 2009 indica in oltre 9,5 milioni i lavoratori (autonomi compresi) che non vengono tutelati dall’art.18 perché operanti in aziende con meno di 15 dipendenti e “solo” 7,9 milioni quelli assunti in aziende o società con più di 15 dipendenti.
    Sempre secondo la Confederazione di Mestre solo il 3% delle aziende sono interessate all’art.18 cioè circa 156.000 su oltre 5.250.000 aziende perché sono quelle che occupano più di 15 dipendenti.
    Se si analizzano poi i dati sui lavoratori dipendenti sui circa 12 milioni 7,8 milioni operano in aziende con più di 15 dipendenti, circa quindi il 65,5 %( dati 2006) e quindi circa i due terzi dei lavoratori(operai ed impiegati) sono tutelati dall’art,18.
    Sempre in relazione ai dati del 2006 le controversie pendenti legate all’art.18 erano 8.651ed il 44,8& delle stesse si è chiuso con il rigetto della domanda mentre in appello la soglia è salita al 63,1%.
    Da questi dati si evince che l’articolo in questione le proposte che ruotano intorno ad esso riguardano i due terzi (circa il 65%) dei lavoratori dipendenti, quindi la loro maggioranza.
    Ma proprio qui sta il punto si parla di lavoratori dipendenti escludendo nella contabilizzazione tutte le altre forme di “assunzione” o di modalità contrattuale perché in questo caso le percentuali si rovescerebbero assegnando ai lavoratori dipendenti la minoranza della forza lavoro occupata.
    Viene da chiedersi alla luce delle sostanziali modifiche che si sono realizzate in questi anni sul fronte delle modalità di occupazione ed anche alla luce delle possibili quando auspicabili ulteriori modifiche e si spera semplificazioni, se effettivamente la questione “articolo 18” non sia spesso vista letta ed interpretata come una difesa di un “ privilegio”(passatemi il termine), che per altro solo in limitati casi consente il reingresso sul posto di lavoro.

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  2. e.... sempre a proposito di eguaglianza e di tutela ….
    di Alberto Battaglia.

    E sempre sul medesimo frangente vorrei solo far osservare come altre e più pesanti siano altre forme di diseguaglianza prima fra tutti la diversità salariale tra donne e uomini sulla quale varrebbe la pena di interrogarsi seriamente sull’odierno significato.
    In particolare in Italia il dato di occupazione femminile è il più basso(dopo di noi solo Malta) con retribuzioni inferiori del 13% e dati di abbandono del lavoro dopo la maternità tra i più alti al mondo. (dati CNEL)
    Nel 2010 il tasso di occupazione femminile era del 46,1 % cioè meno delle maeta delle donne aveva un lavoro (ovviamente non domestico) e ci poneva in coda alla statistiche europee, dal 2008 al 2010 l’occupazione femminile e diminuita dell1,1 % pari a circa 103.000 unità e solo nel 2011 altre 45,000 giovani donne hanno perso il lavoro (dati Istat)
    Sotto il profilo della precarietà le donne al di sotto dei 30 anni occupano una quota di precarietà maggiore di quella dei giovani maschi ( 35% contro il 27%) con uan retribuzione media di euro 892,00 contro euro 1056,00 dei giovani maschi.
    Con la nascita del primo figlio la situazione peggiora ulteriormente: il 30% delle madri interrompe il lavoro contro il 3% dei padri.
    Le donne che abbandonano il lavoro dopo la maternità sono circa il 41% (dati Istat). Ad ulteriore conferma possiamo citare i dati Isfol leggermente diversi: le donne che abbandonano per maternità il lavoro sono il 40,8% a cui si deve aggiungere un 5,6 che si dedica alla famiglia e alla cure di persone non autosufficienti.
    Possiamo aggiunge per completezza che un 17% perde il posto per scadenza del contratto a termine, un 15% per licenziamento o chiusura della propria azienda.
    Per ultimo citiamo il dato di disparità nella coppia con un figlio dove il tasso di occupazione è del 60% di donne contro il 91,3 di maschi nella stesse situazione che scende per le donne al 50,6 quando si hanno due figli per crollare al 33& con tre o più figli.
    Domanda: l’articolo 18 è ancora così centrale per la tutela di diritti o non sarebbe il caso di rivedere su quali presupposti dobbiamo costruire una ipotetica società dell’eguaglianza ?

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